Di nuovo Draghi? Il nome gira nei corridoi dei palazzi europei.

(di Biagio Mannino)

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A poco meno di tre mesi dalle elezioni europee, si fanno molte valutazioni su chi guiderà non solo la Commissione Europea ma anche il Consiglio europeo.
La complessità delle relazioni politiche che la UE ci ha da sempre mostrato è, di fatto, l’espressione del compromesso politico, non solo tra le forze partitiche dei diversi Stati membri, ma anche della intricata ragnatela che coinvolge gruppi di interesse.
L’unico grande assente, in questo gioco ad incastro, è quello che ormai è diventato l’attore con il ruolo secondario, ma che maggiormente dovrebbe essere coinvolto a diventare veramente protagonista, ovvero il popolo europeo.
Gli incontri si intensificano e i leader si confrontano per arrivare a portare candidati che, alla fine, figli del compromesso e del gradimento reciproco, possano accontentare un po’ tutti, a prescindere, però, dal reale sentire del popolo plurale di un’Europa in difficoltà, indebolita ed impoverita proprio dalle scelte prese dalle diverse componenti politiche che la compongono e la guidano.
I nomi vengono fatti e la ricerca del risultato adeguato, al momento, sembra ancora lontana, ma qualcuno pensa alla soluzione alternativa, il finto salvagente in caso di un non accordo. E la soluzione si chiama… Mario Draghi!
Di fronte a questa ipotesi, vista anche l’esperienza che l’Italia ha vissuto durante il suo Governo, viene da chiedersi: “Siamo proprio sicuri che questa Europa (e solo questa!) pensi ai cittadini europei?”.
Il dubbio e la preoccupazione sono naturali, logici e scontati, soprattutto quando la evidente attrazione, nella direzione dell’atlantismo di Draghi, è ben presente. Quell’atlantismo che si mostra tristemente nei risultati: un’Europa ormai tornata all’epoca precedente il 1989, dipendente dalle scelte di Washington, incapace di essere Europa degli europei.
Alla fine, nel post 2020, di fronte ai giochi di palazzo, il povero cittadino ne esce sempre sconfitto.