GIULIETTO CHIESA - MEGACHIP

Padrone debole, Vassalli morti

di Giulietto Chiesa – Megachip.


L'Egitto è in fiamme e il regime di Mubarak è alle corde. È la terza rivolta popolare che scuote le rive del Mediterraneo in poche settimane. Tunisia, Albania, Egitto. Più in là Algeri. A prima vista non c'è connessione tra le tre situazioni. A prima vista Berisha, Ben Alì e Mubarak sono tre problemi del tutto sconnessi tra di loro. Ma certe “serie” difficilmente sono del tutto casuali. L'impressione è che una stessa onda – al tempo stesso di inquietudine e di speranza - stia volando sull'intera area.

 

Questa impressione potrebbe avere un'origine non immediatamente visibile, ma

unica: stiamo assistendo al manifestarsi di una grande crepa nell'un tempo solida muraglia egemonica dell'Impero.
Gli Stati Uniti non sembrano più in grado di esercitare il controllo su scenari che furono prerogativa del loro dominio indiscusso nel corso degli ultimi 50 anni. Il fatto che la crisi sistemica che ha investito l'Occidente intero sia partita dagli Stati Uniti, e che gli Stati Uniti non riescano a farvi fronte ormai da tre anni, ha già seriamente lesionato il loro prestigio verso le leadership europee e asiatiche, per non parlare di quelle latino-americane.

 

 

Non sarebbe da stupirsi troppo se si immaginasse che queste sensazioni di indebolimento venissero percepite con sempre maggiore chiarezza dalle masse popolari che devono fronteggiare regimi protetti da Washington. Debole il Padrone, debole il Vassallo. Addosso al Vassallo!

Wikileaks ha irriso la diplomazia americana. La guerra afghana non ha via d'uscita. Ahmid Karzai e suo fratello trafficante di droga stanno perdendo il controllo anche sui signori della guerra che gli americani e gl'inglesi hanno pagato per tenerli buoni. L'Iran non è stato domato. Lo Yemen è rovente. In Libano Hezbollah ha ripreso il pieno comando. Israele è tracotante contro il popolo palestinese. L'Iraq è divenuto una farsa, ma continua a sanguinare. Hu Jintao procede imperterrito sulla sua strada. Resta solo a puntellare la scena un'Europa imbelle, ma che, per conto suo, tenendo il bordone a Wall Street, è costretta a rompere i patti sociali tra governi e popoli.

Obama è stato circondato dai repubblicani e si è già arreso senza combattere, sedendosi anche lui al Tea Party. Dove i pasticcini sono bombe pronte a cadere sulle teste dei riottosi in ogni area del globo dove si alzano le proteste per una situazione mondiale pericolante e ormai senza guida.
Un'America che si appresta – nascondendosi la verità e illudendosi di essere ancora imperiale – a sostituire l'egemonia con la forza. E torniamo ora all'Egitto. Mubarak può “vantare” il sostegno di Washington (segnatamente del vice-presidente John Biden); quello del clero governativo islamico; quello di Israele. Tre “vanti” che è improbabile gli gioveranno.

Obama e il Pentagono, insieme a Israele, stanno valutando se possono permettersi che il confine tra Gaza e l'Egitto diventi governato da una leadership egiziana diversa da quella che ha martirizzato i palestinesi in tutti questi anni. Potrebbero decidersi a intervenire, insieme, per schiacciare la rivolta del Cairo e di Alessandria.

Ma equivarrebbe, alla luce di quanto sta avvenendo, non solo all'interno dell'Egitto, a piantare le ultime viti non solo sulla bara di Mubarak, ma anche sulle loro prospettive di controllo di tutta l'area.

 

28 gennaio 2011

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